
Ahmet Öğüt, Dalla serie neither artificial nor intelligent, 2023-2025, Olio su tela, 70 × 70 cm | Foto: Clelia Cadamuro | Courtesy A plus A Gallery
La personale di Ahmet Öğüt intitolata neither artificial nor intelligent è ospitata presso la galleria A plus A Gallery a Venezia dal fino all’8 febbraio 2026. In mostra sono presentati dieci ritratti a olio selezionati da una serie più ampia di cinquanta, realizzati negli ultimi tre anni. Le tele, tutte nel formato quadrato di 70 centimetri per lato, rappresentano figure che l’artista definisce artisti reali, semi-reali o immaginari, provenienti da città diverse che però non vengono mai rivelate al pubblico. L’allestimento impiega pannelli traslucidi che velano parzialmente i dipinti e costringono lo spettatore a muoversi nello spazio per ricomporre l’immagine, trasformando la visione in un’esperienza fisica e non immediata. La scelta di non diffondere online le immagini delle opere prima della conclusione dell’esposizione riflette la volontà di preservare un incontro diretto con la pittura, sottratto alla mediazione algoritmica e alla circolazione digitale. Il titolo della mostra riprende una riflessione critica sulle implicazioni sociali e materiali dell’intelligenza artificiale, richiamando un immaginario che va dalla frenologia storica ai moderni sistemi di classificazione visiva. Öğüt indaga come associazioni e pregiudizi emergano automaticamente nella lettura di un volto, di un medium o di un’origine culturale, e come questi automatismi siano radicati tanto nello sguardo umano quanto nei sistemi tecnologici contemporanei. La mostra suggerisce come le codifiche visive e i bias che segnano le tecnologie attuali siano eredi di strutture di potere e di catalogazione che appartengono alla storia occidentale. Con questo progetto Öğüt, noto principalmente per interventi partecipativi e socialmente orientati, esplora un territorio diverso della sua ricerca, affidando alla pittura il compito di interrogare identità, percezione e rappresentazione senza offrire risposte univoche. Il percorso espositivo diventa così un invito a sospendere i giudizi automatici, a riconoscere le implicazioni politiche dello sguardo e a restituire centralità all’esperienza in presenza, in un momento in cui la fruizione dell’immagine è sempre più filtrata e accelerata dal digitale.